Quando si discute del digitale nel cinema è opportuno fare una distinzione preliminare fra CGI, acronimo di Computer-generated imagery (molto più prosaicamente: computer grafica) e DV, acronimo di Digital Video, inteso come registrazione su supporto digitale, tenendo conto che quest’ultimo a sua volta comprende numerosi formati.
L’avvento della computer grafica, ad oggi, ha portato ben poche innovazioni. Sebbene tale affermazione possa sembrare troppo tranchant, essa è giustificata dal fatto che l’effetto speciale esiste nel cinema praticamente dalle sue origini e, tuttavia, nel senso comune pare quasi invalsa la credenza che l’effetto speciale sia nato con la computer grafica. È invece evidente che quest’ultima è una tecnologia che offre la possibilità di ottenere migliori effetti speciali, ma fino ad oggi non ha portato sostanziali variazioni nel modo di narrare (ammesso che il cinema debba narrare). Sia ben chiaro, non si vuole essere portatori di una visione passatista in base alla quale la computer grafica non va utilizzata in nessun caso. In altre parole se Kubrick, nel 1968 per 2001: Odissea nello Spazio avesse avuto a disposizione questi mezzi piuttosto che uno spazzolino imbevuto in tinta bianca e un fondale nero per creare le stelle, senza dubbio il film sarebbe risultato, all’occhio dello spettatore odierno, ancora più veridico di quanto già non sia. Tutto ciò probabilmente non avrebbe ridotto né aumentato i numerosi meriti di quel film, meriti che vanno ben oltre l’accuratezza tecnica, certo straordinaria per l’epoca. D’altra parte non si vuole esaltare romanticamente la pellicola a scapito del supporto digitale. Tutt’altro, alcuni degli esiti più innovativi (nel senso migliore della parola) del cinema contemporaneo si servono di questa tecnologia, uno su tutti INLAND EMPIRE di David Lynch. Tutto sta, dunque, nell’intendersi sul significato della parola innovazione.
Il fatto è che molti film oggi hanno la loro unica ragion d’essere in un gigantesco dispiegamento di effetti speciali così da sembrare, non di rado, degli spot pubblicitari per le tecnologie che li hanno resi possibili; dallo spettatore comune, e non solo, vengono ricordati quasi esclusivamente per questo. Con ciò si vuole intendere che l’effetto speciale, la tecnologia, non sono più strumenti al servizio del progetto dell’autore o di più autori, ma sono il progetto stesso, tanto che in certi casi un tecnico degli effetti speciali viene chiamato egli stesso a dirigere. Di per sé non ci sarebbe niente di male. Molti registi ad esempio provengono dalla direzione della fotografia, ma ciò non comporta che il loro film si riduca ad una giustapposizione di inquadrature dal taglio perfetto e dall’illuminazione impeccabile. Perché dunque rassegnarsi al fatto che i film diventino una fiera di novità tecnologiche? O che dire di certi registi che fanno compiere all’inquadratura, tramite l’effetto speciale e non con la macchina da presa, voli, acrobazie e contorcimenti vari? Non si tratta più neanche del virtuosismo tecnico di un De Palma, che potrebbe anche risultare irritante per alcuni, ma che almeno è frutto del talento visivo del regista e dell’abilità dell’operatore. Tali contorcimenti dell’inquadratura, una volta che non sono più almeno espressione dell’abilità delle maestranze coinvolte nella realizzazione perdono anche il più residuale dei significati. Abbiamo visto solo l’efficacia di un programma capace di creare inquadrature che passano attraverso il buco della serratura o attraversano l’ansa di un bricco da caffè in cucina (come in Panic Room di David Fincher).
Lungi dall’aver determinato un’evoluzione, la computer grafica si è rivelata in non pochi casi un’involuzione, facendo ripiombare molta cinematografia al metodo di rappresentazione primitivo, al sistema delle attrazioni mostrative, ma in questo caso dell'attrazione intesa più come fenomeno da baraccone. Si può solo sbadigliare davanti all’ennesimo drago volante: ogni squama, ogni dente, ogni unghia sporca, ogni dettaglio è mostrato, non c'è più nemmeno il gusto dell'immaginazione poiché si ha già tutto davanti agli occhi.
In conclusione, alcune riflessioni di natura strettamente economica. È opinione diffusa che la computer grafica permetta un ampio contenimento dei costi, in particolare in termini di maestranze, di comparse, eccetera. Ciò in apparenza corrisponde al vero: su un set che in passato sarebbe stato uno scenario naturale, magari affollatissimo (con tutte le difficoltà logistiche che ciò comporta), oggi probabilmente, ci sarebbero molte meno bocche da sfamare per di più chiuse tra pareti monocolore blu o verdi. In realtà, spesso, ciò che si risparmia in termini di comparse e capitale umano in generale, oltre che in logistica, ormai lo si spende in programmi assai costosi e in tecnici che, per paradosso, potrebbero costituire un apparato numericamente uguale, o anche superiore, a quello delle comparse e maestranze richieste su un set tradizionale, e percepire rispetto a queste ultime uno stipendio di gran lunga superiore. Tutt’al più si risparmierebbero magagne sindacali, il che certo non dispiacerebbe ai consigli di amministrazione delle major americane (e dopotutto anche questa è un’illusione, visto il recente sciopero degli sceneggiatori che ha bloccato a lungo la produzione sia cinematografica che televisiva negli Stati Uniti).
Il digitale come supporto, viceversa, ha introdotto non pochi vantaggi in termini di contenimento dei costi, di rapidità di esecuzione e maneggevolezza; inoltre, come si è già suggerito, potrebbe portare interessanti innovazioni estetiche e narrative nel cinema. D’altronde non bisogna nutrire troppe illusioni sugli effetti benefici del supporto digitale: se è certamente positiva la maggiore accessibilità economica e tecnica che garantisce, vi è per altro il rischio che crei l’illusione che chiunque possegga una videocamera possa automaticamente considerarsi un regista. Rischio al quale non è esposto solo l’appassionato, ma anche il professionista. In questo caso si tratterebbe della stessa confusione fra una tecnica e le sue possibilità estetiche già vista nel caso della computer grafica.
L’avvento della computer grafica, ad oggi, ha portato ben poche innovazioni. Sebbene tale affermazione possa sembrare troppo tranchant, essa è giustificata dal fatto che l’effetto speciale esiste nel cinema praticamente dalle sue origini e, tuttavia, nel senso comune pare quasi invalsa la credenza che l’effetto speciale sia nato con la computer grafica. È invece evidente che quest’ultima è una tecnologia che offre la possibilità di ottenere migliori effetti speciali, ma fino ad oggi non ha portato sostanziali variazioni nel modo di narrare (ammesso che il cinema debba narrare). Sia ben chiaro, non si vuole essere portatori di una visione passatista in base alla quale la computer grafica non va utilizzata in nessun caso. In altre parole se Kubrick, nel 1968 per 2001: Odissea nello Spazio avesse avuto a disposizione questi mezzi piuttosto che uno spazzolino imbevuto in tinta bianca e un fondale nero per creare le stelle, senza dubbio il film sarebbe risultato, all’occhio dello spettatore odierno, ancora più veridico di quanto già non sia. Tutto ciò probabilmente non avrebbe ridotto né aumentato i numerosi meriti di quel film, meriti che vanno ben oltre l’accuratezza tecnica, certo straordinaria per l’epoca. D’altra parte non si vuole esaltare romanticamente la pellicola a scapito del supporto digitale. Tutt’altro, alcuni degli esiti più innovativi (nel senso migliore della parola) del cinema contemporaneo si servono di questa tecnologia, uno su tutti INLAND EMPIRE di David Lynch. Tutto sta, dunque, nell’intendersi sul significato della parola innovazione.
Il fatto è che molti film oggi hanno la loro unica ragion d’essere in un gigantesco dispiegamento di effetti speciali così da sembrare, non di rado, degli spot pubblicitari per le tecnologie che li hanno resi possibili; dallo spettatore comune, e non solo, vengono ricordati quasi esclusivamente per questo. Con ciò si vuole intendere che l’effetto speciale, la tecnologia, non sono più strumenti al servizio del progetto dell’autore o di più autori, ma sono il progetto stesso, tanto che in certi casi un tecnico degli effetti speciali viene chiamato egli stesso a dirigere. Di per sé non ci sarebbe niente di male. Molti registi ad esempio provengono dalla direzione della fotografia, ma ciò non comporta che il loro film si riduca ad una giustapposizione di inquadrature dal taglio perfetto e dall’illuminazione impeccabile. Perché dunque rassegnarsi al fatto che i film diventino una fiera di novità tecnologiche? O che dire di certi registi che fanno compiere all’inquadratura, tramite l’effetto speciale e non con la macchina da presa, voli, acrobazie e contorcimenti vari? Non si tratta più neanche del virtuosismo tecnico di un De Palma, che potrebbe anche risultare irritante per alcuni, ma che almeno è frutto del talento visivo del regista e dell’abilità dell’operatore. Tali contorcimenti dell’inquadratura, una volta che non sono più almeno espressione dell’abilità delle maestranze coinvolte nella realizzazione perdono anche il più residuale dei significati. Abbiamo visto solo l’efficacia di un programma capace di creare inquadrature che passano attraverso il buco della serratura o attraversano l’ansa di un bricco da caffè in cucina (come in Panic Room di David Fincher).
Lungi dall’aver determinato un’evoluzione, la computer grafica si è rivelata in non pochi casi un’involuzione, facendo ripiombare molta cinematografia al metodo di rappresentazione primitivo, al sistema delle attrazioni mostrative, ma in questo caso dell'attrazione intesa più come fenomeno da baraccone. Si può solo sbadigliare davanti all’ennesimo drago volante: ogni squama, ogni dente, ogni unghia sporca, ogni dettaglio è mostrato, non c'è più nemmeno il gusto dell'immaginazione poiché si ha già tutto davanti agli occhi.
In conclusione, alcune riflessioni di natura strettamente economica. È opinione diffusa che la computer grafica permetta un ampio contenimento dei costi, in particolare in termini di maestranze, di comparse, eccetera. Ciò in apparenza corrisponde al vero: su un set che in passato sarebbe stato uno scenario naturale, magari affollatissimo (con tutte le difficoltà logistiche che ciò comporta), oggi probabilmente, ci sarebbero molte meno bocche da sfamare per di più chiuse tra pareti monocolore blu o verdi. In realtà, spesso, ciò che si risparmia in termini di comparse e capitale umano in generale, oltre che in logistica, ormai lo si spende in programmi assai costosi e in tecnici che, per paradosso, potrebbero costituire un apparato numericamente uguale, o anche superiore, a quello delle comparse e maestranze richieste su un set tradizionale, e percepire rispetto a queste ultime uno stipendio di gran lunga superiore. Tutt’al più si risparmierebbero magagne sindacali, il che certo non dispiacerebbe ai consigli di amministrazione delle major americane (e dopotutto anche questa è un’illusione, visto il recente sciopero degli sceneggiatori che ha bloccato a lungo la produzione sia cinematografica che televisiva negli Stati Uniti).
Il digitale come supporto, viceversa, ha introdotto non pochi vantaggi in termini di contenimento dei costi, di rapidità di esecuzione e maneggevolezza; inoltre, come si è già suggerito, potrebbe portare interessanti innovazioni estetiche e narrative nel cinema. D’altronde non bisogna nutrire troppe illusioni sugli effetti benefici del supporto digitale: se è certamente positiva la maggiore accessibilità economica e tecnica che garantisce, vi è per altro il rischio che crei l’illusione che chiunque possegga una videocamera possa automaticamente considerarsi un regista. Rischio al quale non è esposto solo l’appassionato, ma anche il professionista. In questo caso si tratterebbe della stessa confusione fra una tecnica e le sue possibilità estetiche già vista nel caso della computer grafica.
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