Sul cinema e sul concetto di pubblico

Il cinema, pur essendo la più giovane tra tutte le arti (dando per buono che sia lecito parlar di arte), è quella al momento più "vecchia". Dall'anno della sua nascita ufficiale (1895) a oggi, quello che potenzialmente è uno dei mezzi di espressione più fecondi e duttili, è anche quello che ha sfruttato una percentuale infima delle sue effettive possibilità.
Un’idea di cinema totale, ovvero un linguaggio che assommi in sé le possibilità della letteratura, del teatro, della pittura, della musica pur creando una forma espressiva autonoma rispetto a queste, idea rintracciabile in autori come Ejzenštejn, attualmente appare del tutto archiviata o, quantomeno, assai poco condivisa, quando non del tutto ignorata. E anche una concezione, come quella di Bresson per esempio, di un cinema rigorosamente autonomo e separato rispetto ad altri mezzi espressivi, in particolare il teatro (oggi potremmo dire alla televisione), si può rintracciare in poche figure di cineasti ancor più isolati rispetto a quanto non fosse a suo tempo il grande regista francese.
A voler essere brutali oggi è assente proprio un’idea di cinema, o per meglio dire, idee sul cinema. Se un tempo si poteva lamentare perfino un eccesso di teoria - tanto che Dovženko rivolto al grafomane Ejzenštejn poteva dire: “I tuoi film... mi sono mille e mille volte più cari delle tue teorie. Vale più un tuo film che tutte le tue idee irrealizzate e le tue dissertazioni sulle donne polinesiane”1 -, negli ultimi decenni qualsiasi speculazione sulla “settima arte” è stata confinata nelle riserve indiane della critica più specialistica. In altri termini, anche nel campo del cinema, ci si è rilassati all’ombra di comode formule tipo “morte delle ideologie”, “postmoderno” e via dicendo; incuranti del fatto che le ideologie (che, a voler essere pignoli, non muoiono) si trascinavano dietro anche le idee, il pensiero critico, lasciando solo apparentemente una maggiore libertà.
Forse quando il cinema si sarà liberato una volta per tutte del pubblico, o per meglio dire del concetto di pubblico, inteso come successo già prestabilito, si potrà riaprire un discorso critico che analizzi e valuti le opere cinematografiche prescindendo dal dato puramente commerciale. Ogni nuova fatica cinematografica, infatti, viene vagliata, ancor prima della sua uscita, da giornalisti, per lo meno nei media di più larga diffusione, che si interessano principalmente del gossip che ruota attorno alla pellicola; dai critici, che attraverso pollici, stelline e quant’altro tentano una mediazione per il pubblico, al quale arriva “marchiata” come un capo di bestiame. Infine passa attraverso i dati degli incassi al botteghino per ritornare inesorabilmente al suo punto di partenza. E quindi diventerà un bel film se ha avuto successo di pubblico, ossia quanti spettatori sono andati a vederlo, che in questo caso vuol dire quanti spettatori hanno pagato il biglietto. Ma il pagamento del biglietto indica solamente che quel determinato film ha incassato quella determinata cifra, non è assolutamente una prova di gradimento estetico da parte del pubblico. Innanzitutto il concetto di pubblico è a dir poco generico e astratto, tenendo conto che il più delle volte viene sbandierato da personaggi che vantano la propria concretezza, e inoltre seguendo questo metro di giudizio si riduce l’attività critica ad una squallida contabilità. Quale sarebbe dunque la soglia di pubblico discriminante per stabilire la qualità di un film? Tanto più che all’interno di un gran numero di spettatori vi sarà certamente una parte, seppur minima, alla quale quel film non è piaciuto affatto o è piaciuto come mero passatempo. Sarebbe quindi più adeguato parlare di pubblici, il che sarebbe molto più rispettoso nei confronti della tanto osannata “gente”, altrimenti ridotta a massa informe non costituita da individui pensanti.

1 Citato in Aldo Grasso, Sergej Ejzenštejn, Il Castoro.

1 commento:

  1. Non credo sia direttamente il pubblico (inteso come numero di biglietti venduti al botteghino) a determinare il successo di un film. I film che registrano ottimi incassi sono spesso successi preannunciati, in virtù dell'opera di promozione volta a dar loro visibilità.
    Penso che il cinema debba molto agli altri media e abbia con loro una connessione da non sottovalutare. Nessun cineasta che punti all'alto gradimento dovrebbe sottrarsi alla spirale mediatica. Meccanismo forse criticabile e insidioso, ma anche salutare. Se si educasse il pubblico (inteso come audience) a film meno convenzionali, a maggiori sperimentazioni, tramite gli altri media, credo sarebbe un bene per tutti.

    Rossella Dettori

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