La ricorrenza del decennale della scomparsa di Stanley Kubrick appare come una feconda occasione per proporre una riflessione sulla sua opera complessiva, sulla sua ricezione da parte del pubblico e della critica, sia all’epoca dell’uscita dei singoli film che in seguito, incentrata su alcuni film emblematici.

Lolita e Eyes Wide Shut

Se si considera Lolita (1962), come spesso si è fatto e come spesso si tende ancora a fare, unicamente sulla scorta del paragone col libro - criterio quest’ultimo, spesso fuorviante in sede di critica cinematografica -, in particolare per quanto riguarda l’erotismo, il film ne uscirebbe inequivocabilmente sconfitto. Il primo ad essere cosciente di ciò era lo stesso Kubrick, il quale, certamente poco tenero con se stesso, identificava nella mancanza di erotismo il principale difetto della sua trasposizione: “Se Lolita è un fallimento, è imputabile solo alla mancanza di erotismo”. In fin dei conti quella del difetto di erotismo appare una critica molto debole, infatti, anche in presenza di una censura dalle maglie più larghe, sarebbe stato estremamente complicato rappresentare la sottile allusività dell’erotismo del romanzo di Nabokov, che sembra poter vivere solo sulla carta; inoltre è presumibile che Nabokov stesso, autore della sceneggiatura originaria, si sia imbattuto nelle stesse difficoltà. Dimostrazione ne sia la riduzione realizzata da Adrian Lyne nel 1997, assai più esplicita su questo punto quanto maldestramente torbida. D’altra parte Nabokov, pur esprimendo un giudizio sostanzialmente positivo sul film, al di là dell’infedeltà rispetto alla sua sceneggiatura, non manifestò particolare apprensione bensì una serena noncuranza rispetto al lavoro di Kubrick.
Al di là dei legami col romanzo, il film, sin dalla sua uscita è stato accolto, quando non del tutto negativamente, con estrema sufficienza, fatto che lo accomuna per certi versi all’ultima opera di Kubrick, Eyes Wide Shut. Non di rado, Lolita, è stato considerato come il peggior film di Kubrick o come una sorta di incidente di percorso, più o meno utile. In realtà, Lolita è di gran lunga superiore ai film precedenti, compreso Orizzonti di gloria. È quello in cui inizia, da parte di Kubrick, l’eliminazione di tutta una serie di caratteri che imbrigliavano, nelle opere precedenti, i personaggi, nella fattispecie i protagonisti, e la costruzione della sceneggiatura. Se ciò dipenda da una maggiore libertà di manovra del regista o se sia un caso poco importa. Tanto per capirsi, in Rapina a mano armata e in Orizzonti di gloria, erano presenti dei personaggi con i quali era assai facile identificarsi: Johnny Clay, interpretato da Sterling Hayden, pur essendo un delinquente di mezza tacca, anzi proprio per questo, suscita una naturale simpatia nello spettatore; così come il Colonnello Dax, interpretato da Kirk Douglas, anche se avrà i suoi scheletri nell’armadio, rispetto agli altri due ufficiali è troppo buono per non risultare simpatico. Non è del tutto irragionevole dire che nei primi film i personaggi più kubrickiani si possono trovare fra i comprimari. Viceversa da Lolita in poi, è molto più arduo trovare singole figure che suscitino la minima empatia nello spettatore e ciò al di là dei drammi che vivono. Inoltre è possibile individuare un’evoluzione nella struttura interna della sceneggiatura. Se nei precedenti film, compreso Rapina a mano armata, la sceneggiatura appariva molto più chiusa e schematica, da Lolita in poi avviene un processo di apertura che lascia maggiore spazio a quell’ambiguità ormai manifesta nei personaggi kubrickiani. Ambiguità che peraltro è rintracciabile nello stesso statuto dei personaggi principali, fra i quali risulta complicato individuare un protagonista; se infatti Humbert a prima vista potrebbe apparire come tale, in ragione anche del suo essere voce narrante, il suo ruolo è insidiato più che da Lolita da Claire Quilty. Figura quest’ultima di suprema ambiguità, della quale è difficile stabilire la reale identità a causa delle molteplici maschere attraverso le quali si manifesta nel corso del film; si potrebbe dire, in fin dei conti, che Claire Quilty è nient’altro che un nome che viene citato più volte. Già nella scena iniziale quando Humbert gli domanda se sia Quilty, egli, ubriaco, risponde di essere Spartaco e in seguito, in modo piuttosto vago, conferma di essere Quilty; successivamente si spaccia per bifolco e per pugile; non solo, la morte di Quilty è celata dietro un quadro. Si tratta di un assaggio dei numerosi travestimenti che assume nel seguito della storia: anche quando si presenta in quella che, presumibilmente, è la sua vera identità (Claire Quilty il commediografo), rimane comunque il dubbio che ci si trovi di fronte ad un ulteriore maschera. Si veda in proposito la scena del ballo nella quale finge interesse nei confronti della madre di Lolita, o la scena dell’albergo dove si spaccia per poliziotto non ricorrendo al travestimento come farà successivamente nei panni del dottor Zempf. Del resto Quilty fa in maniera esplicita ciò che Humbert fa in modo più sottile assumendo prima il ruolo di pensionante, poi di marito e vedovo inconsolabile e, infine, di padre affettuoso. Entrambi hanno lo stesso fine: infilarsi nelle mutandine di Lolita. Anche Lolita è una figura all’insegna dell’ambiguità che si serve di Humbert, assecondando Quilty, e non certo perché costretta o traviata, per allontanarsi dalla madre: convince poco, infatti, il suo pianto alla notizia della morte della stessa, sembrando più preoccupata della sorte dei suoi dischi. Il ritratto di Lolita, rispetto al libro, appare meno sviluppato, in particolare nel suo essere una sorta di simbolo del consumismo americano; tuttavia, questo va di pari passo con la mancanza di erotismo: Humbert, in misura maggiore nel romanzo rispetto al film, è allo stesso tempo disgustato e attratto da questo aspetto di Lolita. Attenuandosi questa componente del personaggio di Lolita viene a mancare gran parte del lato erotico.
Per quanto riguarda la sceneggiatura è utile confrontarla con quelle di Rapina a mano armata e Orizzonti di gloria. In questi ultimi si trattano vicende condensate in poche ore o pochi giorni. Nel primo caso abbiamo una trama, seppur costruita tramite flashback, estremamente rigorosa e geometrica. Nel secondo caso abbiamo una struttura molto chiusa, sia narrativamente che visivamente, in cui si alternano le sequenze ambientate nel castello barocco, nelle quali si svolgono le discussioni fra gli alti ufficiali, e quelle negli spazi angusti delle trincee. Non a caso le scene fondamentali del film, quella dell’assalto francese contro la fortificazione tedesca e il processo ai tre soldati, si svolgono alternativamente in questi due ambienti.
In Lolita Kubrick apre il film con la fine della storia: Humbert che uccide Quilty. Subito abbiamo un lunghissimo flashback che racchiude un periodo di quattro anni, suddiviso in due blocchi: il primo costituito da una sequenza di brevi scenette che descrivono i rapporti di Humbert con Lolita e la madre di quest’ultima; il secondo blocco narra i numerosi spostamenti per l’America di Humbert e Lolita, e si chiude con la fuga di Lolita con Quilty. Infine una scena finale nella quale Humbert ritrova Lolita, incinta e sposata con un altro uomo, scena che sarebbe immediatamente precedente a quella che apre il film. In definitiva si può dire che la sceneggiatura di Lolita, come quella dei successivi film, appare di gran lunga più libera e aperta rispetto alle due opere precedenti, ad esempio nella gestione dei ritmi e dei tempi, con una sapiente alternanza fra scene molto brevi e altre volutamente dilatate in confronto a scene analoghe di film classici hollywoodiani o ai precedenti kubrickiani.
Abbiamo già accennato al destino che accomuna Lolita con l’ultimo film di Kubrick, Eyes Wide Shut, riguardo alla ricezione di pubblico e critica. I due film, d’altra parte, presentano delle similitudini a livello narrativo e formale, poco importa che esse siano state ricercate coscientemente dallo stesso Kubrick. In particolare: la sequenza iniziale del ricevimento nella villa di Ziegler in Eyes Wide Shut mostra diverse analogie con la sequenza del ballo scolastico in Lolita, per esempio nell’esibita stupidità dei dialoghi, i quali richiamano in entrambi i film ad una presunta “apertura mentale” nei rapporti di coppia;

potrebbe inoltre essere considerata una sorta di autocitazione il personaggio della figlia di Milich, il venditore di costumi, quasi una Lolita più sfacciata di quella del 1962.

Ancora, sia James Mason in Lolita, che Tom Cruise in Eyes Wide Shut, si sentono pedinati e controllati da qualcuno o da qualcosa che non riescono ad identificare con precisione;

infine, in entrambi i casi vi è un meccanismo di svelamento finale, per il quale i due protagonisti vengono a conoscenza di situazioni di cui erano all’oscuro, pur essendovi coinvolti: nel caso del film del 1962 vengono riferite da Lolita ad Humbert e nell’ultima opera da Ziegler al dottor Harford.

Tuttavia si tratta di rivelazioni che in entrambi i film risultano ambigue, è infatti difficile appurare se si tratti di spiegazioni veritiere o di un depistaggio nei confronti dei rispettivi protagonisti.

Come Lolita, Eyes Wide Shut è stato accolto da critiche piuttosto perplesse o imbarazzate e solo in rarissimi casi positivamente; il primo tipo di reazioni può essere imputato alle esagerate aspettative spesso create ad arte dalla stessa stampa e da giornalisti che facevano a gara a chi la sparava più grossa. Infatti non è del tutto da escludere che parte del successo di pubblico riscosso dal film sia da addebitare anche alle anticipazioni piccanti, quanto del tutto fuorvianti, che comparivano con cadenza periodica da quando si seppe dell’inizio delle riprese fino all’uscita nelle sale. Il parossismo, a tratti esilarante, si spinse ben oltre la morte di Kubrick, il quale venne dipinto come il principale responsabile del deteriorarsi del rapporto sentimentale Cruise-Kidman. Insomma, si sparlava di tutto fuorché di cinema. In generale Kubrick è sempre stato vittima di leggende metropolitane, tra il ridicolo e l’inverosimile, messe in giro da giornalisti rancorosi per il fatto che fosse restio a rilasciare inutili dichiarazioni sulla lavorazione dei suoi film. Nel caso di Eyes Wide Shut il fatto più squallido è che, a partire da un certo momento, si parlava di una personalità che, essendo scomparsa, non aveva modo di replicare alle innumerevoli sciocchezze messe in giro prima dell’uscita del film. Difatti era nota l’attenzione di Kubrick verso le varie fasi della distribuzione, comprese le campagne pubblicitarie, un’attenzione che non poté esercitare in questo caso, con il risultato che anche i due protagonisti, come spesso capita agli attori fuori dal set, inanellavano sciocchezze una dietro l’altra, beandosi del fatto di aver lavorato con Kubrick, con un tono che aveva molto del parvenu.
Il campionario di storielle che hanno preceduto, accompagnato e seguito la realizzazione del film è pressoché infinito e alcune sono assai spassose. Si è deciso di selezionarne un gustoso campionario, degno di una sala d’attesa di parrucchiere o barbiere, che da un esempio di quella che è la mentalità di molti di coloro che si occupano di spettacolo o dell’industria culturale più in generale.
Senza prendersi la briga di aspettare l’uscita del film in molti iniziarono a ipotizzare che la storia fosse incentrata sulla relazione fra due psicologi, sui loro sogni e sulle loro avventure erotiche extraconiugali: una scena gay di Cruise con un non meglio identificato partner; una scena dello stesso che tenta di avere rapporti carnali con una defunta; una serie di visioni in bianco e nero (chissà poi perché!) indotte da assunzione di morfina; una sequenza musical! Quest’ultima in particolare la dice lunga sulla fervida fantasia dei cronisti. Non è tutto: anche i rapporti con alcuni attori chiamati per interpretare delle parti diedero adito a storielle che in alcuni casi sfioravano il pecoreccio. Al di là delle timidezze della pudibonda Eva Herzigova, che certo lasciavano pensare che fosse stata chiamata a partecipare ad un film hard, e delle presunte baruffe con Jennifer Jason Leigh, la migliore è quella che ha riguardato, per un certo periodo, Harvey Keitel. Si fantasticava infatti che il povero Harvey fosse stato allontanato del set per un eccesso di trasporto, con tanto di tracce biologiche su un abito della Kidman durante una presunta scena di sesso con la stessa. Quest’ultima risulta ancora più ridicola alla luce del fatto che Keitel avrebbe dovuto interpretare Victor Ziegler (poi interpretato da Sydney Pollack), personaggio che non ha nessun rapporto di natura intima con quello di Alice Harford, interpretato dalla Kidman, e non è altro che una delle innumerevoli varianti del pettegolezzo che accompagna puntualmente film con scene di sesso e che vorrebbe gli attori impegnati in “performance” reali. Coloro che mettono in giro queste storie, e coloro che gli danno retta, probabilmente non sono al corrente del fatto che il porno mette a loro disposizione tali performance da molto tempo.
Lo stesso caravanserraglio giornalistico-pubblicitario che aveva evocato “cose turche” e “orge degne di Tiberio”, e conseguentemente il pubblico, eccitato dalla promessa di poter assistere all’accoppiamento di due divi del calibro di Tom Cruise e Nicole Kidman, sono certamente rimasti delusi dal risultato finale. Il film infatti, lasciando da parte le amenità, annovera le scene di sesso più “glaciali” della storia del cinema. Tuttavia ciò non ha impedito che Kubrick abbia dovuto, nella scena dell’orgia, schermare i robotici amplessi dei figuranti (più dei manichini che delle persone) con l’aggiunta digitale di personaggi che guardano. Niente di più lontano, comunque, da ciò che comunemente si intende oggi per film erotico, ossia scene con intrecci di corpi sudaticci o sagome che si stagliano davanti alla finestra con sottofondo musicale di sassofono. Oltre alla già citata scena dell’orgia anche le altre sequenze che potrebbero dare adito a fraintendimenti sono così programmaticamente fredde da escludere qualsiasi dubbio: si pensi alla sequenza davanti allo specchio, fra i due protagonisti, scelta non a caso come lancio del film, nella quale la Kidman appare poco coinvolta rispetto all’approccio quasi goffo di Cruise, in cui è chiara la scarsa conoscenza fra i due sposini. A parte i pochi frammenti iniziali nei quali si può avere l’impressione di trovarsi di fronte ad una famiglia fastidiosamente felice, si delineano immediatamente i caratteri dei due protagonisti. Lei sembra nascondere più di quanto non voglia farci credere; oltre al primo racconto che fa a suo marito sul desiderio provato (e non soddisfatto) per un altro uomo, risulta assai ambiguo il racconto del suo sogno: una sorta di orgia che potrebbe richiamare quella alla quale ha partecipato da spettatore il marito. Infatti, nel finale, se è certo che lei, facendo ritrovare al marito la maschera da questi indossata durante l’orgia, rivela di aver intuito la verità, appare anche plausibile il fatto che non sia del tutto estranea a quel tipo di incontri. Lui d’altra parte è un cretino. Piuttosto interdetto dal primo racconto della moglie, si avventura in un percorso notturno quasi picaresco, in cui tenta in tutti i modi di cornificarla, più o meno intenzionalmente. Se da una parte lei non consuma il tradimento per una libera scelta, lui non riesce mai a portare a termine i suoi propositi a causa della sua inettitudine oltre che delle condizioni avverse. Oltretutto rimane ignaro del coinvolgimento di Ziegler nell’orgia, fino a che quest’ultimo non glielo rivela, propinandogli d’altronde un racconto che potrebbe essere edulcorato, insomma una favoletta che nasconde le possibili implicazioni politiche, sociali ed economiche della vicenda.Queste note ci riportano ancora a Lolita, con la ripresa, a grandi linee e quanto voluta non sapremmo, di uno schema basato su tre personaggi, dei quali uno appare all’oscuro dei retroscena delle vicende in cui è coinvolto (Humbert Humbert-Bill Harford), un altro, il personaggio femminile, che da l’impressione di conoscere più di quanto non dica esplicitamente (Lolita-Alice Harford), e un terzo personaggio che è al corrente di tutto e allo stesso tempo sembra in grado di condizionare gli eventi (Claire Quilty-Victor Ziegler).
Appare quasi uno scherzo del destino il fatto che questi due film si pongano rispettivamente ad inizio e chiusura di quello che si è voluto individuare come il percorso più personale e originale di Kubrick, dopo le prime pur valide prove.

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